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sabato 21 agosto 2010

Earth Overshoot Day - il giorno del superamento. La Terra non ne può più! Ha esaurito oggi le sue possibilità nei nostri confronti. Non deve morire!

Il nostro Pianeta (si, ci metto la maiuscola!) ci offre se stesso. E' la Pachamama dei Maya, la Madre Terra . Cosa significa? Che la madre da ai figli quello che possiede fino all'esaurimento delle sue risorse. I figli sono gli esseri viventi che la popolano. Per continuare a dare, deve poter rifondere le sue disponibilità. In caso contrario, scatta l'allarme rosso!!!

Ogni anno il genere umano sfrutta di più, preme e schiavizza, non rispetta, inquina, spreca senza sosta. Il risultato è l'esaurimento delle risorse a disposizione di chi vive e dipende dallo stesso pianeta. Un circolo vizioso pericoloso. Un triste primato che da una trentina d'anni il mondo moderno si è attribuito e che rischia di accelerare ancora di più, mettendo la terra in una situazione di agonia.


dal baletto del CAD di Piacenza "Volo" per l'A.R.T.

Il consumo delle risorse naturali si esaurisce, ogni anno, prima del suo termine. Il Global Footprint Network, un'organizzazione non governativa internazionale, calcola ogni anno il momento in cui l'umanità supera il limite di capacità del Pianeta, cominciando a vivere succhiando la linfa vitale dello stesso, cioè quando vive succhiando l'energia di sopravivenza del Pianeta che ci ospita.


terra sofferente nel Capo Verde, Africa

Oggi, 21 agosto 2010, è il giorno in cui il nostro impatto sul Pianeta ha superato la sua capacità di continuare a fornirci risorse.

"L'Earth Overshoot Day, o in italiano “il giorno del superamento”, è stato calcolato per la prima volta nella storia nel 1987 quando, il 21 dicembre, fu raggiunto il pareggio. Da qui in poi questo infausto giorno è stato anticipato di anno in anno, arrivando al 21 novembre nel 1995, al 20 ottobre nel 2005, a settembre nel 2009 e al 21 agosto nel 2010. Di questo passo arriveremo a raggiungere e, purtroppo, a superare la metà dell’anno, con un bilancio pericolosamente in rosso."

Il Global Footprint Network scrive: "Oggi l’umanità usa l’equivalente di 1,3 pianeti ogni anno. Ciò significa che oggi la Terra ha bisogno di un anno e quattro mesi per rigenerare quello che usiamo in un anno. Scenari alquanto ottimisti delle Nazioni Unite suggeriscono che se il presente trend della popolazione e del consumo continuasse, entro il 2050 avremo bisogno dell’equivalente di due pianeti per il nostro sostentamento. E naturalmente ne disponiamo solo di uno. Trasformare le risorse in rifiuti più velocemente di quanto questi possano essere ritrasformati in risorse ci pone in una situazione di sovrasfuttamento ambientale, di esaurimento proprio di quelle risorse dalle quali la vita umana e la biodiversità dipendono. "


Capo Verde, Africa, lava


Oltre agli sprechi, agli abusi che l'umanità perpetra ogni giorno contro il Pianeta, non possiamo passare sotto silenzio l'aumento della popolazione mondiale e quindi il molteplicare dei suoi bisogni.

Negli anni 70, Pierre Jalet diceva con ragione che non era il numero di abitanti che era troppo elevato, ma l'ingiusta ripartizione delle ricchezze. Questo ragionamento è tuttora valido. La responsabilità dei paesi industrializzati è indiscutibile nell'impoverimento delle risorse, nella dolorosa situazione di alcune popolazioni dei paesi del Tero Mondo, dell'aumento della fame del mondo, della deforestazione, ecc. ma è fondamentale riflettere sul problema che pone una crescita troppo veloce della popolazione mondiale in relazione alle situazioni critiche sollevate qui.





Cosa possiamo fare come cittadini del mondo

e chi è in grado di agire?


La risposta è: tanto e tutti noi.

Decidiamo di:


Ridurre i nostri consumi
Comperare meno
Consumere meno carne
Non sprecare l'acqua
Non buttare il cibo
Evitare ogni spreco
Non buttare i vestiti o giocattoli
Riciclare la carta e tutto quello che possiamo
Fare la raccolta differenziata
Ridurre il nostro consumo di elettricità
Usare meno la macchina,
la moto o il motorino
Cominciare a camminare di più...


e se vi vengono altre idee fatemelo sapere!



Capo Verde, Africa, l'acqua altrove sprecata qui è un bene prezioso


Voglio trascrivere un articolo pubblicato sul quotidiano francese Le Monde del 21 agosto 2010, che propone una riflessione interessante.

"A partir d’aujourd’hui, la planète vit à crédit

Comment sensibiliser le public aux enjeux environnementaux cruciaux sans passer pour l’éternel rabat-joie de service ? C’est la question que se posent quotidiennement les écologistes. L’une des solutions : simplifier la complexité des problèmes en diffusant un message de communication global et percutant.

C’est le but du “Jour du dépassement” (Earth Overshoot Day), qui tombe cette année ce samedi 21 août. Calculé tous les ans par l’ONG Global Footprint Network, il a pour but de déterminer le moment où l’humanité vit à crédit, après avoir consommé la quantité de ressources naturelles que la nature peut produire en une année.

“Il aura fallu moins de neuf mois pour épuiser le budget écologique de l’année 2010. Si vous dépensez votre budget annuel en neuf mois, vous allez probablement être extrêmement inquiet : la situation n’est pas moins grave quand il s’agit de notre budget écologique”, alerte le président de l’ONG, Mathis Wackernagel. Pour inverser la tendance, il n’y a qu’une solution, selon l’écologiste : “Arriver à ce que la population mondiale commence à décroître. Les gens pensent que ce serait terrible. Pour nous ce serait en fait un avantage économique. C’est un choix mais on n’en veut pas encore.”

En 1960, la planète consommait seulement la moitié de ses ressources. A partir de 1987 - date à laquelle a été publié le rapport Brundtland sur le développement durable - le rapport entre la consommation mondiale et la biocapacité s’est inversé et ne cesse de se réduire depuis. Les hommes consomment aujourd’hui 50 % de ressources naturelles de plus qu’il y a trente ans, avec environ 60 milliards de tonnes de matières premières par an, d’après un rapport des Amis de la Terre.

En 2009, le Jour du dépassement avait été fixé au 25 septembre, soit un mois plus tard que cette année. Mais on ne peut pour autant pas en conclure que notre consommation a à ce point augmenté en un an, a expliqué Mathis Wackernagel. “C’est juste que cette année, on a révisé toutes nos données et on s’est rendu compte que jusqu’ici, on avait surestimé la productivité des forêts et des pâturages : en clair, on avait exagéré la capacité de la Terre à se régénérer et à absorber nos excès.”

Si ce message se révèle plutôt efficace, il pose toutefois la question de la méthode de calcul pour parvenir à un jour si précis, en englobant des problèmes aussi divers que la destruction des forêts primaires, la fonte des glaciers ou le déclin de la biodiversité. La solution, selon l’ONG, réside dans la notion d’“hectare global”. Cette unité, qui sert aussi de base à la définition d’empreinte écologique, représente la biocapacité d’un hectare moyen, à savoir un hectare avec une capacité de production de ressources et d’absorption de déchets correspondant à la moyenne mondiale.

Comme elle l’explique, l’ONG utilise plus de 5 400 données de 200 pays, mises à jour chaque année et provenant d’organismes internationaux reconnus (FAO, division des statistiques de l’Onu, GIEC ou encore Agence internationale de l’énergie).

Et vous, que pensez-vous de cette façon de communiquer sur l’environnement ? Est-ce que ce genre de messages vous interpelle et vous fait réfléchir ou au contraire vous agace de par la simplification des problèmes qu’il entraîne ?"

venerdì 20 agosto 2010

Un clima impazzito? Un riscaldamento climatico prevedibile? Si può ancora fermare la catastrofe in atto?

Venezuela

Spitzberg





Jeffrey D. Sachs, Professore di Economia e direttore dell’Earth Institute of Columbia University, nonchè consigliere speciale del ONU per il Segretario Generale sugli obiettivi di sviluppo del millennio, propone una sua riflessione sui gravissimi e sempre più ripetuti eventi collegati al Gobal Warming.
L'articolo "Capire l'impasse climatico" è stato pubblicato su Guerrecontro.

"La NOAA (l’agenzia che coordina gli studi oceanografici e atmosferici negli Stati uniti) ha pubblicato una “Relazione sullo stato del clima”, che analizza i mesi tra gennaio e maggio. I primi cinque mesi di quest’anno sono stati i più caldi dall’inizio delle rilevazioni, che sono iniziate nel 1880. Maggio è stato il mese più caldo in assoluto. Ondate di caldo intenso stanno raggiungendo in questo momento molte parti del pianeta. Tuttavia noi non abbiamo ancora adottato misure efficaci."

Se ricordiamo le ultime tragedie climatiche, ci accorgiamo che non appartengono più al così detto Terzo Mondo, così lontano dal nostro quotidiano, ma che si sviluppano quasi nel cortile di casa: gli incendi in Russia, gli allagamenti in Polonia e in Germania, le frane, i temporali violentissimi con acquazzoni, grandine e vento sull'Italia, la Francia, la Spagna...




Dorino Piras pubblica un articolo sul suo blog preso in prestito da Repubblica.it con il titolo "Clima che cambia: i monsoni europei". Ne voglio copiare qui un pezzo e vi suggerisco di leggere l'articolo completo, estremamente interessante.




"Un super monsone in Asia e una raffica di piogge monsoniche che sconvolge l’Europa. Il caos climatico cambia la mappa del meteo, rende strutturali episodi eccezionali, costringe a cercare nuove parole per descrivere fenomeni che assumono intensità e frequenza del tutto anomale.

E così dall’Ibimet, l’Istituto di biometeorologia del CNR di Firenze, provano a forzare il vocabolario per tradurre l’intensificarsi dei drammi che colpiscono decine di milioni di persone.

“I termini che fino a ieri usavamo abitualmente per descrivere le piogge eccezionali che colpivano l’Europa non danno più l’idea di quello che succede realmente oggi”, spiega Giampiero Maracchi, responsabile dell’Istituto. “A molti l’uso del termine monsone in uno scenario europeo sembrerà improprio, ma quello che sta accadendo ha caratteristiche simili alla dinamica dei monsoni."
Continuazione dell'articolo sul sito di Repubblica.


Un tornado sopra l'ospedale di Lecce,settembre 2006


Cosa sta succedendo?
Perché si scatenano regolarmente dei fenomeni conosciuti, certamente, ma fino ad oggi solo occasionali?




Cerchiamo con lo studio di Jeffrey D. Sachs una possibile spiegazione.
"Ci sono diverse ragioni per questo. Se le comprendiamo, superiamo lo stallo nel quale ci troviamo.

In primo luogo, la sfida economica per il controllo del cambiamento climatico causato dall’uomo è veramente complessa.
I cambiamenti climatici causati dall’uomo sono determinati da due principali fonti di emissioni di gas serra (soprattutto anidride carbonica, metano e protossido di azoto): l’uso di combustibili fossili per produrre energia e l’agricoltura (compresa la deforestazione per creare nuovi terreni agricoli e pascoli).

Modificare i sistemi energetici e agricoli nel mondo non è un compito facile. Non è sufficiente sbracciarsi e dichiarare che il cambiamento climatico è un'emergenza. Abbiamo bisogno di una strategia concreta per ristrutturare due settori economici che sono centrali per l’economia globale e coinvolgere l’intera popolazione mondiale.




"Acqua" spettacolo di danza del CAD, coreografia di Cinzia Romiti,
realizzato per l'A.R.T.


La seconda grande sfida per affrontare il cambiamento climatico è la complessità della scienza stessa.
Le nostre conoscenze sul clima terrestre e sulla componente dei cambiamenti climatici provocati dall’uomo sono il risultato di un lavoro scientifico estremamente duro che coinvolge migliaia di scienziati in tutto il mondo.

Queste conoscenze scientifiche sono incomplete e permangono molte incertezze sui pericoli, l’entità e tempi dei cambiamenti climatici. Naturalmente, l’opinione pubblica ha difficoltà a comprendere questa complessità ed incertezza, soprattutto perché i cambiamenti climatici si verificano nel corso di decenni e secoli, non in mesi o anni. Inoltre, di anno in anno, ma anche di decennio in decennio, le variazioni naturali del clima si mescolano con il cambiamento climatico generato dalle attività umane, il che rende ancora più difficile la determinazione del danno da noi provocato.

Ciò ha causato un terzo problema nella ricerca di una soluzione per i cambiamenti climatici, che nasce dalla combinazione delle implicazioni economiche e dell’incertezza che esiste rispetto alla questione: una brutale e distruttiva campagna contro la scienza del clima voluta da potenti interessi economici che, a quanto pare, ha creato un’atmosfera di ignoranza e confusione.



"Acqua" spettacolo di danza del CAD, coreografia di Cinzia Romiti,
realizzato per l'A.R.T.



Il Wall Street Journal, per esempio, il giornale d’affari più importante degli Stati Uniti, ha per decenni condotto una campagna aggressiva contro la scienza del clima.
Le persone coinvolte in questa campagna non solo sono poco informate sulle basi scientifiche, ma non hanno mai mostrato alcun interesse a migliorare le proprie conoscenze. Hanno infatti sempre rifiutato l’invito di scienziati ambientali ad organizzare incontri e dibattiti seri sull’argomento.



Tornado. Stati Uniti



Le grandi compagnie petrolifere e gli interessi delle multinazionali sono parte di questo gioco, e hanno finanziato campagne volte a screditare la scienza del cambiamento climatico. Il loro approccio consiste nell'enfatizzare le incertezze della scienza e dare l’impressione che gli scienziati siano coinvolti in una cospirazione per spaventare la gente. E’ un’accusa assurda.

Ma le accuse assurde possono trovare il consenso dell’opinione pubblica se sono presentate in un formato elegante e ben finanziate.

Se si soddisfano questi tre fattori – l’enorme sfida economica per ridurre le emissioni di gas serra, la complessità della scienza del clima e la deliberata campagna per ingannare l’opinione pubblica e screditare la scienza – otteniamo il quarto problema che abbraccia tutto il resto: la riluttanza o incapacità dei politici statunitensi di formulare una politica ragionevole in materia di cambiamento climatico.

Gli Stati Uniti hanno una responsabilità enorme dato che hanno avuto per molto tempo le maggiori emissioni di gas serra a livello mondiale (l’anno scorso sono stati superati dalla Cina). Attualmente, le emissioni pro capite degli Stati Uniti sono quattro volte quelle della Cina.

Eppure, nonostante il ruolo centrale degli Stati Uniti nelle emissioni globali, il Senato americano non ha fatto nulla per affrontare il problema, nonostante abbia ratificato 16 anni fa il trattato dell’ONU sui cambiamenti climatici.




Abbiamo però sperato con l'arrivo di Obama in una mano ferma che si sarebbe opposta alle pressioni delle lobbies delle armi ed altre del genere. E allora? La posizione debole di Obama nel disastro provocato dalla BP nel Golfo del Messico ha sollevato molte domande sulla libertà di manovra di cui dispone.

Lascio lo stesso professor Jeffrey D. Sachs rispondere a questa osservazione:

"Quando Barack Obama è diventato presidente, è nata la speranza che ci sarebbe stato un progresso. E’ vero che Obama avrebbe fatto di più di quello che è riuscito a fare in questo campo, ma è anche vero che fino a questo momento, la strategia che ha seguito non gli ha consentito di raggiungere un accordo con i senatori e le industrie. Le lobby hanno dominato e Obama non è riuscito a prendere dei provvedimenti nella direzione auspicata.

L’amministrazione Obama avrebbe dovuto tentare – e deve continuare a cercare di farlo – una soluzione alternativa. Invece di discutere di tali preoccupazioni nelle sale della Casa Bianca e al Congresso, Obama dovrebbe presentare un piano coerente per il popolo americano. Dovrebbe presentare una solida strategia per ridurre, nei prossimi 20 anni, la dipendenza dai combustibili fossili, per la conversione alle auto elettriche, per l’espansione delle fonti energetiche rinnovabili come l’energia eolica e solare. Obama potrebbe fornire anche una stima dei costi e dimostrare quanto sarebbero modesti rispetto ai benefici enormi che si potrebbero ottenere.

Stranamente, sebbene sia il candidato del cambiamento, Obama non ha scelto di presentare dei piani di azione per un cambiamento reale. La sua amministrazione è sempre più invischiata nella morsa paralizzante delle lobby. E’ difficile comprendere se è una scelta intenzionale, che a Obama e al suo partito continuerà a garantire enormi contributi elettorali, o se è il risultato di decisioni politiche sbagliate. Può essere un po’ l’uno e un po’ l’altro.

Ciò che è chiaro è che in questo modo siamo più vicini al disastro. La natura non si preoccupa delle nostre macchinazioni politiche e ci sta dicendo che il nostro attuale modello economico è pericoloso e suicida. A meno che, nei prossimi anni, troviamo una vera leadership globale, che impari questa lezione nel modo più duro possibile."



"Il Miracolo dei Delfini" spettacolo di danza del CAD,
coreografia di Elena Repetti,
realizzato per l'A.R.T.



In un articolo di Greenreport di Livorno si legge una notizia per lo meno stupefacente:

"La Canadian Broadcasting Corporation (Cbc News) ha annunciato che le vespe sono arrivate nella remota e freddissima Isola di Baffin, nell'estremo nord del Canada. Un gruppo di ricercatori formato da docenti e studenti delle università canadesi di Prince Edward Island Toronto e McGill di Montreal hanno trovato in diverse località del nord, incluse Lake Hazen, Nunavut, Goose Bay, Newfoundland & Labrador e Baffin Island, le prove che le vespe questa estate hanno nidificato in tutto l'Artico canadese anche a latitudini estreme come quelle di Baffin. Secondo loro questa è un'ulteriore prova eclatante del cambiamento climatico.

I ricercatori hanno trascorso la breve estate artica a cercare insetti per confrontarli con i risultati di un analogo condotto 50 anni fa. (...)
L'Artico è uno degli ecosistemi più fragili del pianeta ed è sottoposto a fortissime pressioni ambientali a causa degli effetti del global worming che ne fanno una delle frontiere avanzate di cambiamenti climatici.

I ricercatori del Npb spiegano che «Anche piccole variazioni delle condizioni ambientali sono suscettibili di colpire le strutture delle comunità delle specie polari (abbondanza, biodiversità, distribuzione). Attualmente è necessario documentare i cambiamenti della struttura per comprendere meglio la portata dell'impatto dei cambiamenti climatici.

Per la loro abbondanza e la capacità di crescita rapida delle loro popolazioni, gli artropodi possono servire da "barometro" per sorvegliare l'evoluzione degli ecosistemi. In più, sono una fonte di cibo per numerosi uccelli, mammiferi e pesci del Grande Nord. Così, una modificazione della struttura delle comunità di artropodi potrebbe avere un impatto importante su questi animali nordici».

Ma cosa ci fanno le vespe in terre artiche?

"La biologa Donna Giberson, che guidava il gruppetto di studenti e ricercatori dell'Upei, ha detto che la conferma della presenza di vespe è probabilmente solo la prima delle prove del cambiamento climatico che alla fine verificherà lo studio: «Certo, ci sono state un sacco di segnalazioni di vespe su Baffin Island, che non avrebbero dovuto essere lì e siamo in grado di confermare che ci sono un bel po' di nidi e che si stanno riproducendo. Questa è probabilmente la prima prova che abbiamo di quel che si sta muovendo, speriamo che, quando guarderemo i nostri campioni, troveremo molto di più, ma questo è stato il nostro inizio».

La ricerca prosegue. I dati sono in fase di analisi, ma lasciano già presuporre delle conferme più che preoccupanti.

"La ricerca delle vespe di Baffin fa parte del più vasto Northern Biodiversity Program/Programme sur la Biodiversité Nordique (Npb) che punta a campionare e catalogare la diversità e gli adattamenti degli artropodi in 12 località del nord canadese e gli studenti sono una componente essenziale del progetto, visto che ognuno dei partecipanti conduce ricerche su diversi aspetti del progetto globale."

L'obiettivo del Npb è quello di «documentare i cambiamenti delle strutture delle comunità di artropodi del nord procedendo ad uno studio similare al Northern Insect Survey (1947-1962) realizzato mezzo secolo fa, un'iniziativa senza precedenti che ha permesso c di campionare 72 siti nelle regioni eco-climatiche nordiche, cioè le regioni eco-climatiche Artico, Subartico e Nord-boreale. I risultati dello studio Npb (2010-2011) verranno confrontati con quelli del Nis. Così il Npb valuterà gli effetti dei cambiamenti climatici sulla struttura delle comunità di artropodi e documenterà l'adattamento di alcune specie alle condizioni ambientali in cambiamento».

Il problema è che la società di consumo in cui viviamo ci ha abituato a digerire tutte le notizie, belle o brutte (ma più spesso brutte), come se fossero tutti prodotti uguali e banali. Ecco la parola lasciata, ecco quello che mi preoccupa: la politica di banalizzazione in atto che tenta di bloccare la coscienza, che vuole cancellare la consapevolezza e la responsabilità, che porta a giustificare l'inerzia.

Alt alla banalizzazione!
Riprendiamo la nostra sorte nelle nostre mani !
Salviamo il nostro futuro
e quello delle generazioni future
di cui siamo tutti co-responsabili!



Cosa sarà il futuro di Agata?
Dipende anche da noi.




martedì 3 agosto 2010

Il clima bolle, Cancun è già in cammino. Si può ancora salvare il pianeta?



Dopo le recentissime e terribili alluvioni in Cina, dove tuttora risulta difficile contare con certezza i morti, dispersi e gli sfollati, è la volta del Pakistan. Il monsone ha investito il Nord Est del paese trascinando con sé villaggi, ponti, case compiendo una strage: 800 morti circa.Le piogge non risparmiano l’Europa, l’Artico si riscalda e la canicola sta devastando
la Russia. Il clima cambia più velocemente di ogni previsione.




Staremo ancora a guardare come se fosse una fatalità inevitabile?

Vogliamo salvare il pianeta, oppure no?

A Bonn, il 2 agosto sono cominciati i lavori di una conferenza preliminare alla grande conferenza delle Nazioni Unite di Cancun, in Messico, che dal 29 novembre al 10 dicembre prossimi dovrebbe portare il mondo ad un accordo globale sul clima per rispondere al protocollo di Kyoto. Le speranze sono deboli. I comportamenti dei potenti e i tristi risultati della Conferenza di Copenhagen sul clima non lasciano molto spazio all’ottimismo.



In Germania dei gruppi appositamente istituiti sono al lavoro per trovare un terreno d’incontro tra i bisogni del paesi in via di sviluppo, le politiche delle grandi potenze e le esigenze del pianeta. Difficile… Le divisioni sono anche all’interno degli stessi gruppi.

“Ad ottobre, il Consiglio dei ministri dell'ambiente dell’Unione Europea, dovrebbe aprire un confronto sul possibile cambio dell'obiettivo di riduzione dei gas serra, dal 20% al 30% entro il 2020, ma sappiamo che almeno ad oggi non c'è unità di intenti: a favore Francia, Germania e Gran Bretagna e nel gruppo dei contrari, guarda caso figura l'Italia.” (Greenreport, Livorno 2 agosto 2010).




Mai come ora non bisogna abbassare la guardia. La mobilitazione internazionale di massa per la conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Copenhagen era stata eccezionale, saremo capaci di ricominciare per Cancun?



La mobilitazione è per la Terra!