Vi terremo aggiornati.
*Notizia tratta dal quotidiano svizzero "Le Matin" del 23 Gennaio 2008.
"Quello che facciamo é solo una goccia di acqua nell'oceano, ma se questa goccia non ci fosse, mancherebbe." Madre Teresa di Calcutta
con un esperto biologo che spiegava all’intera comitiva, i rischi a cui sta andando incontro l’emisfero terrestre, come il progressivo scioglimento dei ghiacciai che comporta un lento e continuo innalzamento del livello dei mari, conseguenza dell’effetto serra”, spiega la Castello che prosegue il racconto illustrandoci le altre particolarità viste durante il viaggio, dai fenomeni migratori degli uccelli ai mutamenti di flora e fauna, evidenziando i rischi con cui il pianeta dovrà fare i conti, tra i quali anche il fenomeno delle mutazioni genetiche delle popolazioni autoctone che vivono nelle regioni polari.
Quali riflessioni sono scaturite da questo viaggio?
Da questo viaggio è nata una riflessione sul futuro dell’umanità, sui comportamenti egoistici che ogni giorno assumiamo, non curanti delle generazioni future. Dobbiamo smetterla di vivere pensando che le risorse naturali presenti sulla Terra siano infinite ed evitare di sfruttarle come se si potessero continuamente rigenerare, incuranti per la situazione insostenibile che si sta creando e che porterà al collasso dell’intero globo. Quando ho saputo che quest’anno ricorreva il Quarto Anno Polare Internazionale mi sono documentata accuratamente visitando tutti i siti Internet sull’argomento ed ho incontrato numerosi scienziati in Francia e in Svizzera. Successivamente ho conosciuto il professor Carlo Alberto Ricci, presidente della Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide, oltre che professore ordinario all’Università di Siena, che è venuto a Piacenza in occasione del Geofest, testimoniando in prima persona, la presenza scientifica italiana nelle regioni polari, attraverso numerose spedizioni in Antartide.
Il Prof. Carlo Alberto Ricci e la dr.ssa Amanda Castello
I paesi emergenti non ce la fanno
Orso Polare alla ricerca di cibo, Spitzberg, Luglio 2007
Famiglia nomade, Ladak, India 2007
Il Mali, uno stato senza sbocco sul mare, è dominato dal deserto su grande parte del paese, Sahara al Nord e Sahel al centro, zona sempre più arida. Nella parte meridionale, grazie alle piene del fiume Niger e all’irrigazione, si produce cotone. Il paese vive a quasi 90% dell’agricoltura. E’ ormai risaputo che il disboscamento dell’Africa è all’origine del processo di desertificazione e che si estende sempre più velocemente in un modo che gli esperti considerano inarrestabile. La desertificazione e i cambiamenti climatici sono responsabili dell’accelerazione di un altro triste fenomeno che si estende a macchia d’olio: la siccità. Quelli che erano attesi come difficili ma temporanei periodi diventano una costante in molte regioni. Negli anni 70/80 la siccità si è estesa sul Mali in modo drammatico. Sono seccati i pochi alberi (eucalipti, piante spinose, acacie, baobab…). Durante 5 anni consecutivi di siccità sono morte 250.000 persone e 3,5 milioni di animali. Si è assistito ad una migrazione interna verso i centri urbani di migliaia di rifugiati disperati.
Quale soluzione per rispondere
all’”Emergenza Planetaria”?Il quotidiano francese Le Monde del 10 dicembre osservava che “forse non è casuale se la relazione finale del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (PNUE) è stato pubblicato il giorno stesso della cerimonia a Oslo per il Premio Nobel della Pace ad Al Gore e al Gruppo intergovernamentale di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (GIEC). Questo documento ufficiale spiega come lo “scioglimento dei ghiacciai o l’esplosione del numero dei rifugiati climatici a causa della crescita degli oceani, è suscettibile a destabilizzare intere regioni.(…) Le zone a rischio identificate sono numerose: l’Africa Australe, il Sahel, il Mediterraneo, il sotto continente Indiano, Bambino nepalese costretto ad emigrare con la famiglia nel Ladak India, Luglio 2007
Hans Schellnhuber, uno degli autori della relazione, direttore dell’Istituto di Ricerca sull’impatto del Clima di Potsdam e professore alla Oxford University, dice: “se il riscaldamento climatico non viene arginato, stati fragili e vulnerabili, attualmente mal gestiti, potrebbero implodere sotto la pressione di un riscaldamento globale, poi generare delle onde d’urto verso altri paesi.” Il rapporto del PNUE (http://www.unep.org/) Climate Change and Conflict
Quando si temeva per la sorte della Conferenza, Yvo de Boer, ha sottolineato l’importanza della “pressione dell’opinione pubblica”. Il capo negoziatore della delegazione Nordamericana, Paul Dobriansky, ha lui stesso riconosciuto che “gli USA si sono dichiarati pronti ad accettare
* Articolo scritto da Amanda Castello, pubblicato sul quotidiano Libertà del 18 Dicembre 2007
Il primo marzo
Trattasi di un vasto programma scientifico su scala mondiale dedicato all’Artico e all’Antartide, un’iniziativa che costituirà il periodo di ricerca più intensivo degli ultimi 50 anni sulle regioni polari, con particolare attenzione al cambiamento climatico. 50.000 scienziati e ricercatori, di oltre 60 paesi, stanno già lavorando su 228 progetti. Le ricerche vertono sulla mutevole situazione delle regioni polari, con l’obiettivo di indirizzare la ricerca scientifica di Università ed Enti preposti ad una maggiore conoscenza dell’Antartico e ad una migliore comprensione dei principali meccanismi terrestri, oceanici ed atmosferici che controllano il pianeta, con l’intenzione di trovare anche delle soluzioni per salvare il nostro mondo. All’iniziativa partecipa massicciamente l’Agenzia Spaziale Europea, in quanto i mezzi di ricerca messi a disposizione dalle tecnologie spaziali sono oggi di primaria importanza per il buon esito degli studi.
L’Italia è parte integrante di questo progetto planetario. Il responsabile dei programmi scientifici italiani è il prof. Carlo Alberto Ricci, Presidente della Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide, CSNA e professore ordinario dell’Università di Siena, spesso qualificata come il centro per eccellenza per le Scienze della Terra. "Sarà l'occasione per valutare la portata del cambiamento climatico in modo attendibile, risultato che si può ottenere solo acquisendo i dati di partenza, che devono essere raccolti ai Poli", disse il prof. Ricci, nel marzo scorso a Geocar. Da decenni, in effetti, l’Italia vanta una sua presenza scientifica di rilievo nelle regioni polari e il prof. Carlo Alberto Ricci ne rende regolarmente testimonianza grazie alle varie spedizioni nell’Antartide che conduce. I ricercatori italiani sono impegnati in quattro progetti, coordinati dal CNR, che rappresenteranno l’evoluzione a breve termine di alcune ricerche già in atto, finalizzate ad acquisire una maggiore conoscenza dei cambiamenti climatici globali, su scala regionale e su scala planetaria.
L'Italia partecipa alle ricerche in Antartide con il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA), che è stato istituito nel 1985. Da allora, spedizioni annuali hanno condotto numerosi ricercatori in Antartide. Grazie ad un notevole impegno progettuale e logistico, è stato possibile costruire la base italiana di Baia Terra Nova, nel Mare di Ross, e la base italo-francese Concordia, sull'altipiano glaciale, presso Dome C. Molteplici sono i motivi di interesse scientifico per l'oceano, l'atmosfera, le forme di vita, le rocce, le meteoriti, i sedimenti ed i ghiacci antartici. Il Ministero Italiano dell'Università e della Ricerca ha dichiarato più volte di voler proseguire nell'impegno italiano in Antartide e nell'Artico.
L'Artico non è un continente. E’un immenso oceano. Il Mare Glaciale Artico è situato interamente nella regione del Polo Nord. Occupa un bacino approssimativamente circolare ed interessa un'area di circa 14.090.000 Km quadrati. E’gelato in gran parte della sua superficie. (Il ghiaccio galleggia sulla superficie dell'acqua ed è spesso in media
Perché tanta preoccupazione? Da diverso tempo, l’abitante della terra si è accorto dei cambiamenti climatici. Gli agricoltori, i pescatori ne vedono le conseguenze sulla loro attività. Gli effetti si fanno sentire sulla nostra salute, alcune malattie si propagano, nuovi virus si diffondono. Varie ripercussioni si contano sul mondo animale, vegetale, minerale. La qualità della vita è a rischio. Il problema c’è. Ma come evitare gli schieramenti inutili, quanto eccessivi, tra quelli che seguono la linea del “catastrofismo” e prevedono già la fine del mondo e quelli invece dell’atteggiamento“banalistico”, per intenderci la teoria di “comunque ci sono sempre stati dei cambiamenti nella storia della terra e non ne siamo responsabili”? Forse, conviene affrontare seriamente le questioni, ridurre consapevolmente i nostri comportamenti consumistici e capire che il problema riguarda tutti noi, senza eccezioni.
Il passaggio Nord-Ovest, e tra poco l’apertura del passaggio Nord-Est, fa già sentire il suo macigno sulla fauna: orsi che muoiono di fame per la mancanza di prede o che annegano per la deriva delle lastre di ghiaccio. Franco Foresta Martin in un suo articolo del 19 dicembre 2005, nel Corriere della Sera, cita Steven Amstrup, un biologo marino del servizio geologico degli Stati Uniti: «malgrado gli orsi polari siano abili nuotatori, in grado di compiere tragitti di 30-
La riflessione di Sheldon Drobot dell’US Geological Survey, citata in un recente articolo di Le Monde, fa riflettere: "Penso però che i principali impatti della diminuzione della banchisa saranno di tipo sociale. Numerosi indici stanno a dimostrare che questa situazione va a modificare il regime delle piogge nell’Europa dell’ovest e potrebbe avere un’influenza ben più grande sull’agricoltura, la viticoltura e altre attività economiche”.
Si parla di conseguenze sulla fauna e sulla flora… ma non dobbiamo dimenticare che nella zona artica vivono delle popolazioni umane autoctone. Il Segretario Generale dell'Organizzazione Mondiale della Meteorologia (OMM), Michel Jarraud, ha affermato che tra i progetti di ricerca dell’Anno Polare Internazionale, una grande attenzione sarà rivolta verso le comunità che vivono nelle regioni polari. I popoli indigeni dell'Artico sono, di fatto, tra le popolazioni più colpite dal cambio climatico. Da anni, si verificano preoccupanti trasformazioni genetiche tra loro. In un articolo di Le Monde del 18 settembre scorso, si riferisce un grave cambiamento nella natalità, tra cui un peso nei nascituri molto più basso e una prematurità eccessiva. Inoltre, «diversi studi condotti in Russia e in Groenlandia per il Programma di Sorveglianza dell’Artico (AMAP) hanno dimostrato che tra le comunità Inuit, nascono due bambine per ogni bambino.» Lo stesso quotidiano francese riferisce di ulteriori risultati pubblicati in Gran Bretagna su The Guardian e The Independent e recentemente presentati a Nuuk, in Groenlandia, in un symposium onde si evidenzia il “collegamento tra la concentrazione di prodotti inquinanti organici persistenti (POP), tra cui il PCB, nel sangue delle donne incinte e il sesso del bambino”. Sono stimati a circa 400.000 i membri delle comunità indigene del Polo nord. Si trovano senza alcuna protezione legislativa a tutela della loro esistenza, per difendere i loro diritti sulla loro terra, le loro risorse e il loro ambiente.
A Berlino, nell’occasione delle manifestazioni per l’Anno Polare Internazionale, l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM), insieme a delegati del popolo Inuit della Groenlandia, ha messo in guardia proprio sulla minaccia per i popoli artici derivante dai cambiamenti climatici. "Da molti anni ormai i popoli indigeni delle regioni polari osservano le gravi conseguenze del cambio climatico. Scienziati provenienti da tutto il mondo, esperti indigeni e le loro comunità devono collaborare strettamente per comprendere a fondo i meccanismi del cambiamento climatico e trovare soluzioni adeguate per contrastarne le conseguenze: le popolazioni interessate devono essere ascoltate e le loro conoscenze devono essere tenute in debita considerazione" - riporta un comunicato dell’Associazione dei Popoli Minacciati. Essa denuncia che “a causa dello scioglimento dei ghiacci artici, risorse fino ad oggi non sfruttabili possono essere estratte con maggiore facilità - con tutte le conseguenze negative per l'ambiente e per le persone che vivono in quelle aree. Anche per questo i popoli artici si trovano letteralmente sull'orlo del precipizio"- conclude APM.
L’obbiettivo dell’Anno Polare Internazionale è di raccogliere delle informazioni per conoscere meglio le nostre regioni polari, più in generale il ruolo dei due poli nel mutamento climatico nell'ecosistema della Terra, il ruolo svolto dall’Artico e dall’Antartide in relazione ai cambiamenti climatici passati, attuali e futuri, coscientizzare l’opinione pubblica e trovare le strade per affrontare l'emergenza climatica. L’Anno Polare Internazionale si svolge ufficialmente dal 1° marzo 2007 al 1° marzo 2008, ma si protrarrà fino al 2009, tempo necessario per osservare le stagioni ai due poli. Quest’anno è il quarto Anno Polare Internazionale. Il primo si è svolto nel 1882 – 1883, il secondo nel 1932 – 1933, il terzo nel 1957 – 1958. E’ importante segnalare che 60% delle nostre conoscenze attuali sulle regioni polari sono il risultato delle ricerche del 1958. “La differenza, oggi” spiega Louis Fortier, direttore scientifico di Artic Net, una rete canadese di ricerca sull’Artico, “è che questo nuovo Anno Polare Internazionale (IPY) si svolge in un contesto di riscaldamento climatico”.
E’ cominciato il più ambizioso sforzo – scientifico e di coordinamento internazionale – per conoscere le regioni Artica e Antartica. L'Europa è da tempo in prima linea nello studio dei poli: ha investito 200 milioni di euro in più di duecento progetti. Le cifre dell'impegno comunitario sono notevoli: venticinque stazioni scientifiche operano nell'Antartico, ventidue nell'Artico e una flotta di 57 mezzi, tra aerei e navi, è impegnata nelle ricerche sui ghiacci ai due estremi del globo. Gli esperti delle nazioni europee impegnate nello studio delle regioni polari sono riuniti nell'European Polar Board.
Attraverso 228 progetti internazionali verrà esaminato un ampio ventaglio di fenomeni fisici, biologici e sociali riconducibili alle principali azioni di ricerca individuate dall’IPY e riassumibili nelle sei tematiche seguenti:
I siti, messi a disposizione di chiunque si sente coinvolto, forniscono molte indicazioni e proposte per partecipare o accompagnare l’IPY.
Molteplici le iniziative che si possono seguire in diretta, via Internet. Nel 2007 e 2008 è programmata una spedizione in Artico di Jean-Louis Etienne che raggiungerà l'Alaska passando per il Polo Nord a bordo di un dirigibile attrezzato di strumenti che consentiranno di monitorare spessori della banchisa e parametri meteo. Ma le campagne di misura riguarderanno anche l'Antartide; in particolare Meteo France prevede una campagna di misura nell'autunno 2008 (primavera australe) con radiosondaggi alla stazione Italo-Francese Concordia che consentiranno di validare i dati dei rilevamenti satellitari in orbita polare sull'Antartide e di simulare maggiormente la previsione dello strato di ozono.
Anche
Oltre a programmi di ricerca, però, l’Anno Polare vuole promuovere anche iniziative didattiche e divulgative per stimolare una maggiore sensibilità nel pubblico sul ruolo fondamentale svolto dalle regioni polari per il mantenimento degli equilibri ambientali del pianeta. Studenti, cittadini e appassionati potranno seguire l’andamento delle campagne di studio in tempo reale grazie a numerose attività che enti scientifici, musei e associazioni culturali proporranno nel corso dei prossimi mesi. L’operazione “Scienza ai poli” proposta dalla Comunità scientifica coinvolge ogni Ministero della Pubblica Istruzione e della Ricerca scientifica nel mondo. La finalità è incoraggiare la realizzazione di progetti nelle scuole in relazione ai temi dell’Anno Polare Internazionale. Sul sito ufficiale dell’IPY, http://www.ipy.org/, si può accedere ad una rubrica specifica per gli insegnanti e i ragazzi, iscriversi, partecipare alle proposte e agli esperimenti suggeriti, identificare la propria scuola o classe con il lancio di un pallone virtuale ed entrare nell’International Polar Network. Il programma in italiano si chiama “Rompiamo il ghiaccio”, una proposta amichevole ed invitante per ognuno di noi.
L’Associazione Paulo Parra per
Per quanto riguarda l'Italia, il responsabile dei programmi scientifici dell’Anno Polare Internazionale è il prof. Carlo Alberto Ricci, di Siena, Presidente della Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide, CSNA. Coordina
Un’ultima proposta per sensibilizzare l’opinione pubblica e avvicinare gli scienziati alla popolazione è un’iniziativa della Commissione Europea (Researchers in Europe). Per il terzo anno consecutivo, più di 20 paesi proporranno nella stessa data, venerdì 28 settembre, in decine di città nel mondo,
*Articolo scritto da Amanda Castello - pubblicato sul quotidiano Libertà del 02/08/2007