Paperblog

venerdì 25 gennaio 2008

Il Dirigibile di Jean-Louis Etienne precipita a Fayence

Ultime Notizie

E' accaduto la mattina del 22 Gennaio.
Il dirigibile di Jean-Louis Etienne che aveva la sua base a Fayence, in Francia, dove il vento soffiava a più di 40 Km orari, ha urtato due veicoli, poi una casa prima di cadere direttamente sul tetto di un'altra abitazione. L'operazione di Jean-Louis Etienne denominata Total Polar Airship è, per il momento, rimandata ma l'interesse scientifico è tale che tutti si stanno adoperando per procedere alle necessarie riparazioni per permettere al dirigibile di ripartire.*

Vi terremo aggiornati.


*Notizia tratta dal quotidiano svizzero "Le Matin" del 23 Gennaio 2008.

lunedì 21 gennaio 2008

Anno Polare Internazionale. In dirigibile al Polo Nord!


In occasione dell’Anno Polare Internazionale (1 Marzo 2007- 1 Marzo 2009) nell’Artide, lungo la linea costiera che va dal Canada, e attraverso il Polo, fino alla Siberia, è in atto un grande progetto che nella tratta polare, ha per protagonista un dirigibile.

L’airship, denominato EM-Bird, è equipaggiato di un sensore elettromagnetico sviluppato dall’Alfred Wegener Institute for Polar and Marine Research, uno dei 15 centri di ricerca all’interno del Helmholtz Association. Il dirigibile servirà a misurare lo spessore del ghiaccio, e sarà in grado di raccogliere per la prima volta, e in maniera continua, i dati che provengono dallo studio delle vaste regioni artiche.


Nell’aprile del 2008, EM-Bird volerà da Spitsbergen al litorale canadese via Polo nord e nell’Alaska, mentre esaminerà le principali regioni ghiacciate del mare artico. L’insieme dei dati consentirà di fare dei raffronti con le misure precedenti e potranno essere dei punti di riferimento per le campagne future.http://www.jeanlouisetienne.fr/poleairship/apropos.htm

Il sensazionale progetto, finanziato dalla Total, è del medico-esploratore francese Jean-Louis Etienne, ed è stato presentato a Berlino il 5 aprile 2007.


Come nel caso dei due esploratori belga impegnati nella spedizione Arctic Arc, l’obiettivo dell’impresa è quello di avere misurazioni più veritiere sullo spessore del ghiaccio del Polo, che si va sempre più sciogliendo a causa del riscaldamento globale, mettendo a rischio il delicato ecosistema polare e sui suoi abitanti, come l’orso bianco.

L’Artico è uno dei luoghi del pianeta dove sono più evidenti gli effetti del riscaldamento globale.

Ogni anno perde un’area di ghiacci pari all’intera Olanda e si stima che lo spessore della banchisa sia già diminuito del 40 per cento.
Secondo diversi studi scientifici, entro poche decine di anni l’Oceano Artico potrebbe ritrovarsi privo di ghiaccio durante l’estate.

A volerla veder “nera” se le acque dell’oceano artico si dovessero sciogliere esageratamente, il loro riversamento nelle acque del pianeta, potrebbe scatenare uno tsunami dalle proporzioni inimmaginabili.

La missione di EM-Bird dovrebbe essere inquadrata nel contesto del progetto su larga scala DAMOCLES (Developing Arctic Modelling and Observing Capabilities for Long-term Environmental Studies), che riunisce 44 istituzioni scientifiche europee e del resto del mondo.

DAMOCLES* è finanziato a titolo del Sesto programma quadro con uno stanziamento di 16,1 milioni di euro e rappresenta un importante contributo europeo all’Anno Polare Internazionale. Lo scopo principale del progetto DAMOCLES è studiare il destino del ghiaccio marino nell’Artico.

Fonte: http://www.damocles-eu.org/


* Purtroppo, recentemente, nel mare di Beaufort, vi è stato un grave incidente a bordo di un sommergibile impegnato nella ricerca per DAMOCLES, mentre stava effettuando un’indagine dello spessore del ghiaccio. In seguito ad una esplosione sono deceduti due marinai.

lunedì 14 gennaio 2008

Polo Nord specchio del clima*

*Articolo di Francesca Gazzola, pubblicato sul Corriere Padano del 10 gennaio 2008


Amanda Castello lancia l'ennesimo allarme per il progressivo scioglimento dei ghiacci in occasione del Quarto Anno Internazionale dei Poli

Negli ultimi mesi sono apparsi sul quotidiano Libertà due articoli redatti da Amanda Castello, incentrati sulle problematiche ambientali: “Ai Poli per studiare i cambiamenti climatici estremi”, del 2 ottobre e “Paure per il clima che cambia”, del 18 dicembre, testi che denotano uno spiccato interesse della Castello per una materia che si discosta notevolmente dall’attività che ha intrapreso in questi anni. Amanda Castello, esperta e formatrice in cure palliative, infatti, si occupa da dieci anni dell’associazione di volontariato A.R.T., Associazione Paulo Parra per la Ricerca sulla Terminalità, di cui è stata fondatrice nel 1997. L’A.R.T. è tra le 60 associazioni nazionali di volontariato attive nell'ambito delle cure palliative riconosciute dalla Federazione Cure Palliative: da dieci anni offre assistenza al malato inguaribile e ai suoi cari, forma gli operatori e i volontari di accompagnamento, aiuta i giovani delle scuole con il percorso formativo Padì - Parole Discrete, che affronta con i giovani i delicati temi del dolore e della fine della vita. Gli articoli sui mutamenti climatici della dottoressa Castello hanno incuriosito parecchi di noi e ci hanno spinto ad incontrarla nella sua dimora nella località “La Bagnata” di Bettola, sede dell’A.R.T., dove vive dagli anni Ottanta in un antico casale immerso nella natura.

Amanda Castello ci ha spiegato che l’interesse per gli ambienti polari e le problematiche ad essi collegate, scaturisce da un viaggio intrapreso un paio di anni fa tra i ghiacci delle Svalbard, un arcipelago situato nel Mar Glaciale Artico, alla punta estrema della Scandinavia, ad appena un migliaio di chilometri dal Polo Nord: una zona protetta immersa nella natura pura ed incontaminata, in cui non esistono forme di popolamento umano, solo centri di studio di ricercatori e scienziati che si occupano di problematiche che coinvolgono l’intero pianeta. “Ho intrapreso questo viaggio di esplorazione su di un antico veliero

con un esperto biologo che spiegava all’intera comitiva, i rischi a cui sta andando incontro l’emisfero terrestre, come il progressivo scioglimento dei ghiacciai che comporta un lento e continuo innalzamento del livello dei mari, conseguenza dell’effetto serra”, spiega la Castello che prosegue il racconto illustrandoci le altre particolarità viste durante il viaggio, dai fenomeni migratori degli uccelli ai mutamenti di flora e fauna, evidenziando i rischi con cui il pianeta dovrà fare i conti, tra i quali anche il fenomeno delle mutazioni genetiche delle popolazioni autoctone che vivono nelle regioni polari.

Quali riflessioni sono scaturite da questo viaggio?
Da questo viaggio è nata una riflessione sul futuro dell’umanità, sui comportamenti egoistici che ogni giorno assumiamo, non curanti delle generazioni future. Dobbiamo smetterla di vivere pensando che le risorse naturali presenti sulla Terra siano infinite ed evitare di sfruttarle come se si potessero continuamente rigenerare, incuranti per la situazione insostenibile che si sta creando e che porterà al collasso dell’intero globo. Quando ho saputo che quest’anno ricorreva il Quarto Anno Polare Internazionale mi sono documentata accuratamente visitando tutti i siti Internet sull’argomento ed ho incontrato numerosi scienziati in Francia e in Svizzera. Successivamente ho conosciuto il professor Carlo Alberto Ricci, presidente della Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide, oltre che professore ordinario all’Università di Siena, che è venuto a Piacenza in occasione del Geofest, testimoniando in prima persona, la presenza scientifica italiana nelle regioni polari, attraverso numerose spedizioni in Antartide.

Il Prof. Carlo Alberto Ricci e la dr.ssa Amanda Castello



Dalla ricorrenza dell’Anno Polare, iniziato ufficialmente il primo marzo 2007 e che si protrarrà fino al 2009 per poter osservare le stagioni in entrambi i Poli, è nata l’idea di istituire un comitato piacentino pro anno polare, unito ad un progetto più ampio, non ancora ufficializzato, in collaborazione con il Museo Nazionale dell’Antartide di Genova.

L’Anno Polare Internazionale, cosa significa per il Pianeta?
Si tratta di un vastissimo programma scientifico dedicato all’Artico e all’Antartide, un’iniziativa che rappresenterà il periodo di ricerca più intenso degli ultimi cinquant’anni, sulle regioni polari. Circa 50.000 gli scienziati coinvolti, oltre 60 i paesi che focalizzeranno i loro studi sulla mutevole situazione delle regioni polari: 228 i progetti a cui i ricercatori stanno lavorando, esaminando i più vasti fenomeni fisici, biologici e sociali che interessano le zone polari. L’importanza di questi studi è dettata dal fatto che tutto è interdipendente e collegato e permette di conoscere come interagiscono tra loro le terre emerse, gli oceani e l’atmosfera, per trovare soluzioni all’emergenza climatica.

Qual è il Suo contributo all’Anno Polare?
Io non sono né una ricercatrice, né una scienziata. Sono una persona che sa scrivere e che può dare un piccolo contributo a far conoscere un problema che non può più essere taciuto, sensibilizzando le persone a tematiche che troppo spesso passano inosservate.
In occasione del decennale dell’associazione da me fondata, abbiamo creato un calendario a sostegno dell’Anno Polare Internazionale, (il Calendario Padì Art 2008), che ha una duplice valenza: da una parte celebra i dieci anni di attività dell’A.R.T. descrivendo i progetti, i corsi ed i convegni, realizzati dal 1997 ad oggi, mentre dall’altra, grazie ad immagini straordinarie che mostrano una natura incontaminata, richiama l’attenzione sui problemi che minacciano la salute del Pianeta. Sto, inoltre, scrivendo un libro, “Padì ai Poli”, che è la storia di una ragazza che intraprende un viaggio ai Poli partendo dallo Spitzberg, (la maggiore delle isole delle Savalbard), spiegando ai più giovani le questioni che riguardano i mutamenti climatici.

A dicembre si è tenuta la Conferenza mondiale sul clima a Bali. Cosa ne pensa?
Ho seguito con grande attenzione la Conferenza di Bali, constatando come tutto dipenda da una questione di mentalità e cultura, che spesso finisce con l’impedire ai Grandi del Mondo di guardare nel medio-lungo termine una situazione che già di per sé è molto critica. Penso all’Australia in cui molte zone, dopo incendi titanici sono a rischio desertificazione, o all’America Latina in cui si passa da terre semi-aride a fasce costiere a rischio inondazioni, a zone intere del continente asiatico sconvolti da uragani sempre più violenti e ripetuti, per concludere con la situazione del continente africano caratterizzato da un disboscamento sempre più assiduo che è all’origine del processo di desertificazione che si sta estendendo con grande velocità con il suo corteo di fame e morte.

giovedì 10 gennaio 2008

Cambiamenti climatici: a Bali un risultato sofferto*

Si è appena conclusa in un’atmosfera di tensioni e di suspense, la conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Bali, Indonesia. Fino all’ultimo si è temuto il fallimento di quello che rappresenta per il pianeta una speranza di salvezza. Sabato 15 Novembre è stata firmata la “Roadmap”, una piantina di incontri di lavoro per camminare – si spera tutti insieme - fino a Copenaghen, prossimo appuntamento fissato nel 2009 prima della scadenza del Protocollo di Kyoto nel 2012. Le contraddizioni sono esplose durante i quindici giorni della conferenza. Cattive e buone volontà vanno come sempre di pari passo. 187 paesi rappresentati con 10 mila delegati provenienti da nazioni altamente industrializzate e in via di sviluppo, hanno provano a proseguire sul cammino iniziato a Kyoto, dove con mille difficoltà, si è firmato un protocollo per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, una delle cause del riscaldamento del clima mondiale.


Yvo de Boer, Segretario Generale della Convention delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), si dichiara soddisfatto di due decisioni significative. La prima riguarda l’accordo unanime su modalità e calendario di future negoziazioni sul pericoloso tema dei cambiamenti climatici. La seconda verte sull’importanza di effettuare e verificare il necessario transfert di tecnologie dai paesi industrializzati ai paesi poveri per sostenere questi ultimi nell’adattamento agli stessi cambiamenti climatici (aiuto allo smaltimento dei rifiuti, adeguamento di piani di sviluppo, trasformazione delle politiche economiche, sostegno alle politiche sanitarie ecc.). Si parla di aumentare il fondo delle Nazioni Unite da destinare loro, ma le cifre proposte sono assolutamente insufficienti. I maggiori responsabili dell’inquinamento sono i paesi altamente industrializzati e i paesi poveri subiscono gli effetti disastrosi del fenomeno senza i mezzi necessari per risolvere i problemi. Le conseguenze sono oramai conosciute: la fame aumenta in parallelo all’impoverimento dell’agricoltura, alle distruzioni delle zone coltivabili ed abitabili con alluvioni, alla desertificazione inarrestabile, all’aumento degli uragani e altri fenomeni naturali sempre più violenti e frequenti. Un recente rapporto delle Nazioni Unite ha illustrato che i cambiamenti climatici sono all’origine di un nuovo tipo di rifugiati: i “rifugiati climatici”.

I paesi emergenti non ce la fanno


Oxfam International, rispettabile ed autorevole confederazione internazionale che raggruppa 13 ONG indipendenti e si dedica alla lotta contro la povertà e l’ingiustizia, ha pubblicato un suo rapporto in concomitanza alla conferenza di Bali. I segnali di disastri ambientali sono visibili dappertutto. Il mare invade progressivamente il Bangladesh, paese già fortemente provato da violenti tifoni. Allagamenti abnormi hanno costretto popolazioni intere a spostamenti verso altre zone. Lo stesso fenomeno si verifica nel Pacifico dove alcuni atolli sono scomparsi nell’oceano a causa di maree sempre più alte e travolgenti. La situazione dei ghiacci al Polo Nord e al Polo Sud dei quali abbiamo già parlato (Libertà 3 ottobre 2007) - e la situazione dell’oceano glaciale Artico in particolare – continua a preoccupare gli scienziati impegnati nei programmi di ricerca nel quadro dell’Anno Polare Internazionale.
Spitzberg, Luglio 2007

Con la strana eccezione del Perito Moreno in Argentina, tutti i ghiacciai stanno diminuendo pericolosamente. Dalle montagne dell’Europa a quelle delle Ande e dell’Himalaya, il ghiaccio sparisce progressivamente e con esso le scorte di acqua per le future generazioni. La crisi climatica attuale potrebbe portare alla distruzione definitiva di alcuni ecosistemi. Molte specie di animali e vegetazione, importanti nell’equilibrio del pianeta, sono scomparsi o sono in pericolo.
Delfini, Azzorre, Luglio 2006

Orso Polare alla ricerca di cibo, Spitzberg, Luglio 2007


Lo sfruttamento sfrenato ed abusivo delle ricchezze della terra portano non solo ad un impoverimento della stessa, ma a degli squilibri pericolosi che rischiano di tradursi in aumento delle migrazioni di essere umani, in instabilità sociali, in fonti di conflitti, in pauperizzazione generalizzata, in disastri ambientali e quindi sanitari.

Famiglia nomade, Ladak, India 2007



Non solo i paesi poveri,
il caso dell’Australia

Alcuni paesi sono già il teatro di fenomeni preoccupanti e questi flagelli non riguardano solo paesi emergenti: l’Australia, ad esempio, sta vivendo una siccità di proporzioni sconosciute che ha provocato incendi devastanti. Secondo uno studio del Gruppo Intergovernamentale sull’Evoluzione del Clima delle Nazioni Unite (GIEC), le temperature di quel paese, il più secco del mondo, aumenteranno di 1,3°C fino al 2020 e di 6,7°C fino al 2080, con critiche mancanze d’acqua, assenza di raccolte, distruzione della fauna e della flora, rischio di desertificazione. Forse gli ultimi avvenimenti sono all’origine del cambiamento di politica del governo australiano che esce così da una morosità sulle questioni climatiche. In un articolo del 5 dicembre del quotidiano The Australian, la nuova ministra responsabile dei problemi del clima, la senatrice Penny Wong, ha espresso la decisione del suo governo, diretto dal nuovo primo ministro Kevin Rudd, di incaricare un gruppo a Bali per trovare le soluzioni al problema. “Vogliamo che tutti siano coinvolti nelle negoziazioni e faremo del nostro meglio per assumere un ruolo di leadership. La nostra ratificazione del Protocollo di Kyoto rappresenta all’evidenza un passo significativo in questo senso.”

Sarebbe imprudente pensare che questi pericoli concernano solo realtà lontane dalla vecchia Europa. Paesi come la Gran Bretagna e la Francia sono preoccupati dai cambiamenti che si verificano nelle zone costiere. Il senatore francese Roland Courteau ha appena sottoposto una sua relazione alla Commissione Parlamentare di valutazione sulle scelte scientifiche e tecnologiche sui rischi di tsunami sulle coste francesi. Questo passo segue la comunicazione del Primo Ministro François Fillon, in una riunione internazionale a Lisbona in Novembre, della decisione del Governo francese di creare un Centro di Allerta agli Tsunami.

America
Latina,
un continente a rischio
Lo stesso GIEC delle Nazioni Unite già citato, allerta sul surriscaldamento del pianeta con effetti già visibili in America Latina dove si segnala un alzarsi delle temperature con una conseguente evaporazione. Questa situazione, secondo lo stesso gruppo di esperti, può condurre ad una perdita di acqua nelle falde, un inaridimento della foresta amazzonica orientale con una trasformazione della stessa in savana, una desertificazione e salinizzazione delle zone già semi aride con gravi ripercussioni sull’agricoltura e l’allevamento. L’aumento crescente del livello del mare, fenomeno attualmente sotto osservazione sui litorali della terra, mette a rischio le popolazioni costiere. Uragani come Catarina nel 2004, frequenti nei Carabi e in America Centrale, non si erano mai visti nel Sud del Brasile, constata Carlos Nobre, scienziato del Centro di Meteorologia e Studi Climatici presso l’Istituto Spaziale brasiliano. Teme che il fenomeno si possa riprodurre nell’Atlantico Sud e abbia origine nella situazione climatica attuale. Ancora il GIEC dell’ONU prevede un aumento della temperatura in America Centrale di 6,6°C nel 2080 con siccità estreme se delle decisioni e delle politiche decise non sono messe in atto adesso.Foresta Amazzonica, Equador, Luglio 2003

Nelle Ande, il Perù, benché responsabile solo per lo 0,4 % dell’inquinamento con gas a effetto serra nel mondo, ha il triste privilegio di figurare come il terzo paese a rischio più alto a causa dei cambiamenti climatici. Paese di contrasti, con una parte del territorio coperto dalla foresta amazzonica, zone del litorale semi desertiche e altissime montagne con ghiacciai, il Perù subisce gravi trasformazioni. Il Niño è sempre più forte e a causa del surriscaldamento, i ghiacciai diminuiscono. Marco Zapata Luyo, direttore dell’Unità di Ghiacciologia e Risorse Idriche dell’INRENA esprime preoccupazioni per le conseguenze che causerà sulla popolazione la scomparsa dei ghiacciai peruviani. Da un rilevamento aereo eseguito nel 1989 per identificare il numero dei ghiacciai, risultavano 3.044 ghiacciai su 2041 km2. Nel 1997, un nuovo rilevamento segnalò la scomparsa di 111 ghiacciai con una riduzione dell’estensione di 446 km2 (dati forniti dalla ONG Friends of the Earth).


L’Africa,

un continente “condannato”?

Il processo di desertificazione avanza, Senegal, Marzo 2005

Troppo spesso l’Africa viene alla ribalta per notizie raccapriccianti: guerre, bambini soldati, tratta di schiavi, AIDS, fame, siccità, rifugiati, migrazioni interne ed esterne… Il Global Warming, surriscaldamento del pianeta, si fa sentire nella sua drammaticità immediata in Africa. Non sono previsioni futuriste probabili, ma purtroppo già realtà.

Senegal, Marzo 2005

Il Mali, uno stato senza sbocco sul mare, è dominato dal deserto su grande parte del paese, Sahara al Nord e Sahel al centro, zona sempre più arida. Nella parte meridionale, grazie alle piene del fiume Niger e all’irrigazione, si produce cotone. Il paese vive a quasi 90% dell’agricoltura. E’ ormai risaputo che il disboscamento dell’Africa è all’origine del processo di desertificazione e che si estende sempre più velocemente in un modo che gli esperti considerano inarrestabile. La desertificazione e i cambiamenti climatici sono responsabili dell’accelerazione di un altro triste fenomeno che si estende a macchia d’olio: la siccità. Quelli che erano attesi come difficili ma temporanei periodi diventano una costante in molte regioni. Negli anni 70/80 la siccità si è estesa sul Mali in modo drammatico. Sono seccati i pochi alberi (eucalipti, piante spinose, acacie, baobab…). Durante 5 anni consecutivi di siccità sono morte 250.000 persone e 3,5 milioni di animali. Si è assistito ad una migrazione interna verso i centri urbani di migliaia di rifugiati disperati. La Provincia di Piacenza ha stretto solidarietà con il popolo Dogon e il Comune di Podenzano ha offerto di gemellarsi con il villaggio di Kani Bonzon. Grazie al lavoro dell’Associazione Ali 2000 e dell’infermiere Seydou, sindaco di Kani Bonzon, sono stati raccolti fondi ed esperti piacentini vanno regolarmente ad aiutare le comunità a forare i pozzi, a costruire strutture agricole e sanitarie, portando viveri per colmare l’emergenza. La solidarietà dei piacentini si è come sempre dimostrata efficace, ma da sola non può risolvere i problemi che sono di ordine strutturale.

Amanda Castello consegna l'Attestato di Membro Onorario dell'ART a Seydù Guindo, sindaco della Comunità di Kanì Bonzon accompagnato da Nicola Scotti, rappresentante dell'Associazione Alì 2000

Emmanuel Dlamini, direttore del Servizio di Meteorologia dello Swaziland, denuncia i “fenomeni climatici sempre più estremi e frequenti” e segnala il pericolo che corre il continente africano dove “negli ultimi 15 anni, il numero di giorni nei quali la temperatura ha raggiunto i 35°C è aumentato del 12% e la pluviometria è diminuita fino al 50% in settembre e ottobre, periodo in cui normalmente comincia la stagione delle piogge in molti paesi. In parallelo, la frequenza e la violenza dei temporali stano crescendo” e sono evidenti le conseguenze gravissime per “un’economia fortemente dipendente dall’agricoltura, quindi molto sensibile al clima”.

Quale soluzione per rispondere

all’”Emergenza Planetaria”?
Ogni parte del nostro pianeta mette in evidenza i danni di una situazione che Al Gore, Premio Nobel delle Pace, definisce “Planetary emergency”. Fino a quando vorremo credere che la questione dell’emergenza planetaria riguarda altri e che il riscaldamento globale avrà effetto solo sui paesi emergenti, continueremo ad essere complici per passività, indifferenza, egoismo o stupidità di un processo di autodistruzione del nostro mondo e del futuro dei nostri figli. Non è più possibile rifugiarsi dietro un ipocrita “non sapevo”. L’informazione è conosciuta da tutti. Bisogna ridurre le emissioni di CO2 nell’atmosfera senza pregiudicare lo sviluppo dei paesi emergenti. Carlo Petrini, in un interessante articolo pubblicato su Repubblica il 3 dicembre, scrive che “La soluzione ideale starebbe nel modello elaborato da Aubrey Meyer nel 2000. Si chiama "contrazione e convergenza" e parte dal presupposto che nessuno ha il diritto di sfruttare in maniera sproporzionata le risorse naturali: le nazioni dovrebbero quindi muoversi tutte verso lo stesso traguardo,compatibile con gli interessi degli altri Paesi e le capacità di tenuta della biosfera. I Paesi industrializzati dovrebbero ridurre (contrazione) il loro consumo di risorse fossili più di quanto i Paesi in via di sviluppo le aumentino (per raggiungere una convergenza). L'abbassamento del livello di emissioni dovrà dunque tener conto che i Paesi poveri hanno diritto a una crescita nei consumi, perché per avere un minimo di benessere ci vuole un minimo di energia. È la dignity line, un livello accettabile per tutti. Questa soglia sta molto al di sotto di quanto emettono i ricchi e poco più sopra di quanto emettono i poveri.” Ricordiamo che solo 36 paesi altamente industrializzati avevano firmato a Kyoto il protocollo con un impegno da concretizzare entro il 2012 e che Stati Uniti, Cina e India, i tre più grandi responsabili di emissione di CO2 non avevano firmato, per ragioni diverse naturalmente. Oggi sono stati attori al tavolo delle negoziazioni. La sfida che questa conferenza ha lanciato all’umanità è vitale. Molti pensano oggi che le proposte di Kyoto sono ormai superate e insufficienti. Una riduzione solo del 5,2% non può bloccare il processo di autodistruzione in atto. ONG autorevoli come Friends of th Earth e Greenpeace, studi in mano, chiedono che l’obiettivo sia portato al 30-40% di riduzione delle emissioni dei paesi industrializzati entro il 2020 e all’85% entro il 2050. Un progetto di Dichiarazione finale per la Conferenza, che si è appoggiato sui dati raccolti dal GIEC, la cui redazione è stata affidata a rappresentanti dell’Indonesia, dell’Africa del Sud e dell’Australia, aveva proposto una riduzione del 25 al 40% delle emissioni di gas a effetto serra dei paesi ricchi fino al 2020.

Gli Stati Uniti si sono rifiutati.

“Non possiamo più aspettare. Dobbiamo agire adesso”, dice Rizaldi Boer, climatologo indonesiano, preoccupato perché in questa parte del mondo stanno scomparendo le foreste a causa dell’estrazione brutale del legname richiesto dall’Occidente. Oltre a numerose specie di piante e animali che sono stati cancellati dalla superficie della terra, ai rischi per i suoi abitanti di cui abbiamo parlato precedentemente, cresce un altro pericolo direttamente collegato all’”emergenza planetaria” e al “surriscaldamento globale” dettagliatamente spiegato nel libro di Al Gore “Una Scomoda Verità – Come salvare la terra dal riscaldamento globale” (Rizzoli, marzo 2007) e nel DVD con lo stesso titolo. Possono sorgere dei “conflitti climatici”

Il quotidiano francese Le Monde del 10 dicembre osservava che “forse non è casuale se la relazione finale del Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente (PNUE) è stato pubblicato il giorno stesso della cerimonia a Oslo per il Premio Nobel della Pace ad Al Gore e al Gruppo intergovernamentale di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (GIEC). Questo documento ufficiale spiega come lo “scioglimento dei ghiacciai o l’esplosione del numero dei rifugiati climatici a causa della crescita degli oceani, è suscettibile a destabilizzare intere regioni.(…) Le zone a rischio identificate sono numerose: l’Africa Australe, il Sahel, il Mediterraneo, il sotto continente Indiano, la Cina, i Carabi e il Golfo del Messico, le Ande e l’Amazzonia.” A proposito dello stesso documento del PNUE, la Televisione della Svizzera francese, in una trasmissione del 10 dicembre, non esita a parlare di rischio di “guerra civile mondiale”.Bambino nepalese costretto ad emigrare con la famiglia nel Ladak India, Luglio 2007

Hans Schellnhuber, uno degli autori della relazione, direttore dell’Istituto di Ricerca sull’impatto del Clima di Potsdam e professore alla Oxford University, dice: “se il riscaldamento climatico non viene arginato, stati fragili e vulnerabili, attualmente mal gestiti, potrebbero implodere sotto la pressione di un riscaldamento globale, poi generare delle onde d’urto verso altri paesi.” Il rapporto del PNUE (http://www.unep.org/) Climate Change and Conflictla Germania ha adottato una serie di misure molto ambiziose per dimostrare a tutti la sua decisione di essere uno dei paesi capofila nella crociata in favore dell’ambiente (Le Temps 05.12.07). Sul sito dell’Ufficio Federale dell’Ambiente della Confederazione Elvetica si riporta una decisione della (Cambiamenti climatici e conflitti) allerta sull’aumento della “pressione migratoria” nel Sud del Mediterraneo e in particolare le popolazioni residenti nel Delta del Nilo e tutto il Nord Africa. Secondo l’esperto, le correnti migratorie si rafforzeranno a causa di fenomeni concomitanti come la mancanza di acqua, la perdita del rendimento agricolo, la crescita della popolazione e l’instabilità delle istituzioni politiche in loco. Nel suo articolo di Repubblica già citato, Carlo Petrini concludeva dicendo “da oggi guarderemo al summit di Bali come a un incontro di civiltà, come l'impegno delle nazioni a trovare una via alla giustizia e alla pace per il futuro. Viviamo un momento in cui è necessario instaurare una nuova etica, per la quale ciascun individuo prende coscienza della gravità della situazione e incomincia a modificare le sue abitudini e il suo stile di vita.” Rajendra Pachauri, Presidente del GIEC, organismo delle Nazioni Unite neo Premio Nobel della Pace da lunedì, insieme ad Al Gore, ha lanciato un ammonimento “I tempi delle domande è finito, quello di cui abbiamo bisogno adesso sono atti.” Alcuni segnali di buona volontà fanno sperare: Segreteria di Stato dell'Economia (SECO) che intende “sostenere un fondo innovativo della Banca Mondiale a favore del clima col versamento di 8,75 milioni di franchi. Grazie a questo fondo saranno finanziati provvedimenti per la salvaguardia della foresta tropicale. A Bali è stata inaugurata la Forest Carbon Partnership Facility (FCPF) della Banca Mondiale, il cui scopo è di congiungere i settori del clima e della foresta tropicale e di compensare finanziariamente la protezione della foresta tropicale e la rinuncia ad essa collegata di ulteriori emissioni di CO2.” I risultati “strappati con i denti”, ha detto un partecipante, non devono farci abbassare la guardia.

Uno degli obbiettivi della Conferenza, sostenuto fortemente dall’Unione Europea, fare iscrivere nel preambolo della Dichiarazione Finale la decisione di ridurre da 25 a 40% le emissioni dei paesi industriali, è stato boicottato dagli Stati Uniti, che alla fine hanno sottoscritto al testo ufficiale, ma rifiutando che le percentuali siano citate.

Quando si temeva per la sorte della Conferenza, Yvo de Boer, ha sottolineato l’importanza della “pressione dell’opinione pubblica”. Il capo negoziatore della delegazione Nordamericana, Paul Dobriansky, ha lui stesso riconosciuto che “gli USA si sono dichiarati pronti ad accettare la Bali Roadmap, dopo avere subito pressioni da altre delegazioni durante la plenaria dell’UNFCCC”, riferisce il Jakarta Post del 16 dicembre. Forse una spinta è venuta anche dalle decisioni di ridurre le emissioni, prese autonomamente da alcuni stati dalla confederazione americana dopo vari disastri ambientali recenti. "La maggioranza degli stati americani è con voi," ha detto Linda Adams, Segretaria all’Ambiente dello Stato della California recentemente devastato dall’uragano Caterina. Un altro elemento che ha avuto peso nelle negoziazioni è la travagliata politica interna americana. Chi occuperà la Casa Bianca dovrà prestare attenzione al malcontento di molti americani della politica dell’amministrazione Bush. Bali rappresenta comunque una vittoria se consideriamo, come scrive Hervé Kempf in Le Monde del 16.12, che “sei anni dopo aver tentato di affondare il Protocollo di Kyoto, Washington riconosce che la lotta contro il cambiamento climatico deve organizzarsi nel quadro delle Nazioni Unite”. “E’ l’inizio, non la fine” ha lanciato in chiusura il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Dichiarazione sostenuta dal nostro ministro dell'Ambiente Alfonso Pecoraro Scanio, che dopo aver affermato all’inizio della conferenza "Ci batteremo per fare in modo che ci sia un pieno mandato per il 2012 e anche un nuovo protocollo post-Kyoto”, ha informato che “il governo italiano, dopo tanti annunci, per la prima volta ha preso quest'anno dei provvedimenti per ridurre la CO2 e ha festeggiato l'apertura della Conferenza con la firma dei protocolli di intesa con tre Regioni per la costruzione di centrali solari e la progettazione di interventi massicci nell'edilizia e nei trasporti". Al termine della conferenza, il Ministro ha sottolineato che dovremmo tutti “ascoltare il Segretario Generale delle Nazioni Unite che parla di Rivoluzione Verde per l’economia del mondo. La nuova economia deve essere ecologica perché solo così avremo uno sviluppo compatibile col pianeta terra”. La conferenza di Bali si è conclusa. Da domani inizia una serie di appuntamenti con gruppi internazionali di lavoro per concretizzare le strategie e fissare calendari, obiettivi e controlli. La prima scadenza del dopo Kyoto è il 2012. Forse ci troviamo davanti ad una nuova rivoluzione tecnologica del mondo post-industriale dove le soluzioni non possono escludere l’approccio etico.




* Articolo scritto da Amanda Castello, pubblicato sul quotidiano Libertà del 18 Dicembre 2007

mercoledì 9 gennaio 2008

Rompiamo il Ghiaccio!*



Vi presento
l'Anno Polare Internazionale 2007/2008!

Il primo marzo 2007 ha avuto inizio l’Anno Polare Internazionale (International Polar Year, IPY), marzo 2007 - febbraio 2008, indetto da ICSU (International Council for Science) e da WMO (World Metereological Organization).

Trattasi di un vasto programma scientifico su scala mondiale dedicato all’Artico e all’Antartide, un’iniziativa che costituirà il periodo di ricerca più intensivo degli ultimi 50 anni sulle regioni polari, con particolare attenzione al cambiamento climatico. 50.000 scienziati e ricercatori, di oltre 60 paesi, stanno già lavorando su 228 progetti. Le ricerche vertono sulla mutevole situazione delle regioni polari, con l’obiettivo di indirizzare la ricerca scientifica di Università ed Enti preposti ad una maggiore conoscenza dell’Antartico e ad una migliore comprensione dei principali meccanismi terrestri, oceanici ed atmosferici che controllano il pianeta, con l’intenzione di trovare anche delle soluzioni per salvare il nostro mondo. All’iniziativa partecipa massicciamente l’Agenzia Spaziale Europea, in quanto i mezzi di ricerca messi a disposizione dalle tecnologie spaziali sono oggi di primaria importanza per il buon esito degli studi.

L’Italia è parte integrante di questo progetto planetario. Il responsabile dei programmi scientifici italiani è il prof. Carlo Alberto Ricci, Presidente della Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide, CSNA e professore ordinario dell’Università di Siena, spesso qualificata come il centro per eccellenza per le Scienze della Terra. "Sarà l'occasione per valutare la portata del cambiamento climatico in modo attendibile, risultato che si può ottenere solo acquisendo i dati di partenza, che devono essere raccolti ai Poli", disse il prof. Ricci, nel marzo scorso a Geocar. Da decenni, in effetti, l’Italia vanta una sua presenza scientifica di rilievo nelle regioni polari e il prof. Carlo Alberto Ricci ne rende regolarmente testimonianza grazie alle varie spedizioni nell’Antartide che conduce. I ricercatori italiani sono impegnati in quattro progetti, coordinati dal CNR, che rappresenteranno l’evoluzione a breve termine di alcune ricerche già in atto, finalizzate ad acquisire una maggiore conoscenza dei cambiamenti climatici globali, su scala regionale e su scala planetaria.

L'Italia partecipa alle ricerche in Antartide con il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA), che è stato istituito nel 1985. Da allora, spedizioni annuali hanno condotto numerosi ricercatori in Antartide. Grazie ad un notevole impegno progettuale e logistico, è stato possibile costruire la base italiana di Baia Terra Nova, nel Mare di Ross, e la base italo-francese Concordia, sull'altipiano glaciale, presso Dome C. Molteplici sono i motivi di interesse scientifico per l'oceano, l'atmosfera, le forme di vita, le rocce, le meteoriti, i sedimenti ed i ghiacci antartici. Il Ministero Italiano dell'Università e della Ricerca ha dichiarato più volte di voler proseguire nell'impegno italiano in Antartide e nell'Artico.

Forse, prima di proseguire, bisogna chiarire la differenza tra Antartide ed Artico. L'Antartide è un continente di 14 milioni di m2, situato al polo sud, circondato dall’oceano australe. Territorio dei pinguini imperatori, è al 98% costituito da ghiacci, con uno spessore medio di 1600 metri anche se la calotta glaciale che ricopre l'Antartide nella sua quasi totalità supera a volte i 4.500 m di spessore. È, in media, il luogo più freddo della Terra e con le maggiori riserve di acqua dolce del pianeta. Non abitato, l’Antartide è protetto da un trattato entrato in vigore nel 1961. Il Trattato dell’Antartide è il risultato dei negoziati avviati durante l'Anno Geofisico Internazionale 1957-1958. Il trattato stabilisce che il territorio antartico debba essere utilizzato esclusivamente a scopi pacifici, garantisce costantemente la libertà di svolgere attività di ricerca, promuove la cooperazione scientifica internazionale favorendo lo scambio di progetti e personale di ricerca e impone che i risultati siano resi disponibili gratuitamente. Attualmente è sottoscritto da 45 paesi e è valido fino al 2015.

L'Artico non è un continente. E’un immenso oceano. Il Mare Glaciale Artico è situato interamente nella regione del Polo Nord. Occupa un bacino approssimativamente circolare ed interessa un'area di circa 14.090.000 Km quadrati. E’gelato in gran parte della sua superficie. (Il ghiaccio galleggia sulla superficie dell'acqua ed è spesso in media 3 metri (con punte occasionali di 10 metri). La coltre di ghiaccio raddoppia le proprie dimensioni in inverno, inglobando parte della terraferma circostante. Gli iceberg si staccano dal confine della banchisa e navigano lentamente verso sud sciogliendosi. Situato intorno al polo nord, questa regione è abitata da popolazioni autoctone (Inuit, Lapponi…) e animali (orso bianco, volpe polare, renna…). L'Artico appartiene a diversi paesi: Danimarca, Islanda, Canada, Stati Uniti, Norvegia e Russia. Le due grandi aree polari sono dei settori chiave nel nostro pianeta e giocano un ruolo capitale negli scambi atmosferici e nella circolazione degli oceani. Se sparissero, il clima del pianeta cambierebbe drasticamente.

Perché tanta preoccupazione? Da diverso tempo, l’abitante della terra si è accorto dei cambiamenti climatici. Gli agricoltori, i pescatori ne vedono le conseguenze sulla loro attività. Gli effetti si fanno sentire sulla nostra salute, alcune malattie si propagano, nuovi virus si diffondono. Varie ripercussioni si contano sul mondo animale, vegetale, minerale. La qualità della vita è a rischio. Il problema c’è. Ma come evitare gli schieramenti inutili, quanto eccessivi, tra quelli che seguono la linea del “catastrofismo” e prevedono già la fine del mondo e quelli invece dell’atteggiamento“banalistico”, per intenderci la teoria di “comunque ci sono sempre stati dei cambiamenti nella storia della terra e non ne siamo responsabili”? Forse, conviene affrontare seriamente le questioni, ridurre consapevolmente i nostri comportamenti consumistici e capire che il problema riguarda tutti noi, senza eccezioni.

Un dato innegabile: lo scioglimento dei ghiacci che ha un’influenza diretta sull'innalzamento del livello dei mari e sul cambiamento del clima e può accelerare l’effetto serra. Il fenomeno suscita sempre più preoccupazione nelle comunità scientifiche e nell'opinione pubblica. Uno studio riferisce che “se il permafrost dovesse sciogliersi, sarebbero rilasciate nell'aria enormi quantità di metano, un gas che favorisce l'effetto serra 23 volte di più dell'anidride carbonica.” Nell’oceano Artico, dall'11 al 14 novembre 2006, si è constatato grazie a delle misurazioni meteo-marine un riscaldamento sulla banchisa di 20 °C, passando da -25 °C a -5 °C! Durante l’estate 2007, i ricercatori del Centro americano che raccoglie i dati sulla neve e il ghiaccio (NSIDC) hanno verificato una diminuzione dei ghiacci dei mari di più di due volte la superficie della Francia, passando da 5,32 milioni di km2 due anni fa, a 4,14 milioni di km2. L’Agenzia Spaziale Europea (ESA) raggiunge la stessa conclusione grazie alle osservazioni del satellite Envisat. Da una media di scioglimento della banchisa di 100.000 km2 annuale, si è passati a 1milione di km2. Il risultato è spaventoso dall’avviso di tutti. Se proseguirà a sciogliersi a questi ritmi, per Jean-Claude Gascard, responsabile del Programma europeo Damocles, “la banchisa estiva potrebbe essere scomparsa nel 2020”. Le conseguenze sono drammatiche per la fauna e la flora. Nell’Artico, le prime vittime sono gli orsi e le volpi, ma anche i cetacei, le foche, i trichechi, i pesci e gli uccelli. Lo scioglimento della banchisa porterà all’apertura di nuove rotte marittime e favorirà il passaggio di possenti petroliere che, salpate dai porti del nord Europa, raggiungeranno più rapidamente quelli del Giappone con sicuri benefici per gli armatori, ma rischi incontrollabili e gravissimi per l’equilibrio del pianeta.

Il passaggio Nord-Ovest, e tra poco l’apertura del passaggio Nord-Est, fa già sentire il suo macigno sulla fauna: orsi che muoiono di fame per la mancanza di prede o che annegano per la deriva delle lastre di ghiaccio. Franco Foresta Martin in un suo articolo del 19 dicembre 2005, nel Corriere della Sera, cita Steven Amstrup, un biologo marino del servizio geologico degli Stati Uniti: «malgrado gli orsi polari siano abili nuotatori, in grado di compiere tragitti di 30-40 chilometri senza eccessiva fatica, tuttavia la nuova situazione li costringe a spostamenti ancora più estenuanti per trovare il cibo: fino a 100 chilometri. E' per questo motivo che si stanno moltiplicando i casi di annegamento osservati.» Orsi che non vanno più in letargo per il riscaldamento climatico, che nascono ermafroditi per la quantità di pesticidi nella carne delle prede di cui si nutrono, che mutano di comportamento…

La riflessione di Sheldon Drobot dell’US Geological Survey, citata in un recente articolo di Le Monde, fa riflettere: "Penso però che i principali impatti della diminuzione della banchisa saranno di tipo sociale. Numerosi indici stanno a dimostrare che questa situazione va a modificare il regime delle piogge nell’Europa dell’ovest e potrebbe avere un’influenza ben più grande sull’agricoltura, la viticoltura e altre attività economiche”.

Jean Malaurie è una delle figure di punta della ricerca polare. Esploratore, scrittore è un instancabile difensore del popolo Inuit. In un’intervista, ripresa dal Manifesto nel 1999, il grande esploratore scrisse “Lo scioglimento dei ghiacciai colpisce tutta la costa della Groenlandia. Avevo già notato che i ghiacciai della Groenlandia settentrionale, cioè di un terzo della Groenlandia, erano, sulla costa nord-occidentale (nella Terra di Inglefield), in precario equilibrio. Questo grande ghiacciaio è infatti secco: poggia sullo zoccolo archeano, senza alcuna morena sottostante. Tutto fa pensare che la Groenlandia settentrionale potrebbe subire una rapida deglaciazione. In tal caso, la massa dell'inlandsis groenlandese, grande cinque volte la Francia che, in ragione del suo volume, è in auto-equilibrio termico, rischierebbe di esserne danneggiato.” Aggiunge poi, “La storia naturale ci insegna che nel Pleistocene, cioè nell'era interglaciale e post-glaciale, massicce deglaciazioni hanno provocato movimenti di grande ampiezza. L'innalzamento del livello dei mari di parecchi metri sarebbe la conseguenza principale di una simile deglaciazione. Ne conseguirebbero poi, senza il minimo dubbio, violenti smottamenti sismici sulle dorsali fragili della Terra”. L’essere umano non può certo impedire gli effetti disastrosi provocati dalla natura, ma quelli causati all’incuranza della società? Lunedì 10 settembre, a Berlino, si sono incontrati i venti paesi considerati i più grossi consumatori di energia – il G8, i grandi paesi in via di sviluppo, India e Cina, con dei rappresentanti delle Nazioni Unite e della società civile. L’obbiettivo era stabilire i punti di accordo minimo per prepararsi alla Conferenza Mondiale sul Clima che si terrà a Bali in Dicembre con l’intenzione di trovare un’intesa per un nuovo protocollo che verrà a sostituirsi a quello di Kyoto, la cui estinzione è prevista nel 2012. L’India e la Cina, secondo paese più inquinante al mondo dopo gli Stati Uniti, non accettano restrizioni e controlli perché li considerano un “freno al loro sviluppo”. Sarà il compito dei negoziatori trovare una breccia in questo muro di rifiuto e di indifferenza alla sorte del pianeta.

Si parla di conseguenze sulla fauna e sulla flora… ma non dobbiamo dimenticare che nella zona artica vivono delle popolazioni umane autoctone. Il Segretario Generale dell'Organizzazione Mondiale della Meteorologia (OMM), Michel Jarraud, ha affermato che tra i progetti di ricerca dell’Anno Polare Internazionale, una grande attenzione sarà rivolta verso le comunità che vivono nelle regioni polari. I popoli indigeni dell'Artico sono, di fatto, tra le popolazioni più colpite dal cambio climatico. Da anni, si verificano preoccupanti trasformazioni genetiche tra loro. In un articolo di Le Monde del 18 settembre scorso, si riferisce un grave cambiamento nella natalità, tra cui un peso nei nascituri molto più basso e una prematurità eccessiva. Inoltre, «diversi studi condotti in Russia e in Groenlandia per il Programma di Sorveglianza dell’Artico (AMAP) hanno dimostrato che tra le comunità Inuit, nascono due bambine per ogni bambino.» Lo stesso quotidiano francese riferisce di ulteriori risultati pubblicati in Gran Bretagna su The Guardian e The Independent e recentemente presentati a Nuuk, in Groenlandia, in un symposium onde si evidenzia il “collegamento tra la concentrazione di prodotti inquinanti organici persistenti (POP), tra cui il PCB, nel sangue delle donne incinte e il sesso del bambino”. Sono stimati a circa 400.000 i membri delle comunità indigene del Polo nord. Si trovano senza alcuna protezione legislativa a tutela della loro esistenza, per difendere i loro diritti sulla loro terra, le loro risorse e il loro ambiente.

A Berlino, nell’occasione delle manifestazioni per l’Anno Polare Internazionale, l'Associazione per i Popoli Minacciati (APM), insieme a delegati del popolo Inuit della Groenlandia, ha messo in guardia proprio sulla minaccia per i popoli artici derivante dai cambiamenti climatici. "Da molti anni ormai i popoli indigeni delle regioni polari osservano le gravi conseguenze del cambio climatico. Scienziati provenienti da tutto il mondo, esperti indigeni e le loro comunità devono collaborare strettamente per comprendere a fondo i meccanismi del cambiamento climatico e trovare soluzioni adeguate per contrastarne le conseguenze: le popolazioni interessate devono essere ascoltate e le loro conoscenze devono essere tenute in debita considerazione" - riporta un comunicato dell’Associazione dei Popoli Minacciati. Essa denuncia che “a causa dello scioglimento dei ghiacci artici, risorse fino ad oggi non sfruttabili possono essere estratte con maggiore facilità - con tutte le conseguenze negative per l'ambiente e per le persone che vivono in quelle aree. Anche per questo i popoli artici si trovano letteralmente sull'orlo del precipizio"- conclude APM.

Perché tanto impegno per i Poli? Perché tutto è collegato e interdipendente. E’ quindi necessario capire come funzionano e come interagiscono le terre emerse, gli oceani e l’atmosfera del pianeta..

L’obbiettivo dell’Anno Polare Internazionale è di raccogliere delle informazioni per conoscere meglio le nostre regioni polari, più in generale il ruolo dei due poli nel mutamento climatico nell'ecosistema della Terra, il ruolo svolto dall’Artico e dall’Antartide in relazione ai cambiamenti climatici passati, attuali e futuri, coscientizzare l’opinione pubblica e trovare le strade per affrontare l'emergenza climatica. L’Anno Polare Internazionale si svolge ufficialmente dal 1° marzo 2007 al 1° marzo 2008, ma si protrarrà fino al 2009, tempo necessario per osservare le stagioni ai due poli. Quest’anno è il quarto Anno Polare Internazionale. Il primo si è svolto nel 1882 – 1883, il secondo nel 1932 – 1933, il terzo nel 1957 – 1958. E’ importante segnalare che 60% delle nostre conoscenze attuali sulle regioni polari sono il risultato delle ricerche del 1958. “La differenza, oggi” spiega Louis Fortier, direttore scientifico di Artic Net, una rete canadese di ricerca sull’Artico, “è che questo nuovo Anno Polare Internazionale (IPY) si svolge in un contesto di riscaldamento climatico”.

E’ cominciato il più ambizioso sforzo – scientifico e di coordinamento internazionale – per conoscere le regioni Artica e Antartica. L'Europa è da tempo in prima linea nello studio dei poli: ha investito 200 milioni di euro in più di duecento progetti. Le cifre dell'impegno comunitario sono notevoli: venticinque stazioni scientifiche operano nell'Antartico, ventidue nell'Artico e una flotta di 57 mezzi, tra aerei e navi, è impegnata nelle ricerche sui ghiacci ai due estremi del globo. Gli esperti delle nazioni europee impegnate nello studio delle regioni polari sono riuniti nell'European Polar Board.

Attraverso 228 progetti internazionali verrà esaminato un ampio ventaglio di fenomeni fisici, biologici e sociali riconducibili alle principali azioni di ricerca individuate dall’IPY e riassumibili nelle sei tematiche seguenti:

  • Stato delle regioni polari: determinazione dell’attuale situazione ambientale dei poli;
  • Evoluzione delle regioni polari: quantificazione e comprensione dei cambiamenti ambientali e sociali, passati e attuali, finalizzate alla realizzazione di proiezioni previsionali;
  • Interazioni planetarie: migliorare la comprensione e l’interpretazione delle interazioni esistenti tra le regioni polari e il resto del globo e dei diversi fenomeni che ne stanno alla base;
  • Nuove frontiere scientifiche: spronare la ricerca scientifica nelle regioni polari fino alle ultime frontiere della scienza;
  • Osservatori privilegiati: sfruttare la posizione unica delle regioni polari per sviluppare e accrescere gli studi sul nucleo terrestre, sui campi magnetici, sul Sole e l’universo
  • Fattore umano: analizzare i processi storici, culturali e sociali che condizionano l’adattabilità e la sostenibilità delle civiltà circumpolari e identificare il loro specifico contributo alla diversità culturale dell’umanità.

I siti, messi a disposizione di chiunque si sente coinvolto, forniscono molte indicazioni e proposte per partecipare o accompagnare l’IPY.

Molteplici le iniziative che si possono seguire in diretta, via Internet. Nel 2007 e 2008 è programmata una spedizione in Artico di Jean-Louis Etienne che raggiungerà l'Alaska passando per il Polo Nord a bordo di un dirigibile attrezzato di strumenti che consentiranno di monitorare spessori della banchisa e parametri meteo. Ma le campagne di misura riguarderanno anche l'Antartide; in particolare Meteo France prevede una campagna di misura nell'autunno 2008 (primavera australe) con radiosondaggi alla stazione Italo-Francese Concordia che consentiranno di validare i dati dei rilevamenti satellitari in orbita polare sull'Antartide e di simulare maggiormente la previsione dello strato di ozono.

Anche la Giornata Mondiale della Meteorologia, che si celebrerà il 23 Marzo 2008, sarà dedicata quest'anno alla Meteorologia Polare per porre in evidenza gli impatti della circolazione atmosferica polare e dei suoi cambiamenti sull'intero clima del Pianeta. La Giornata del Ghiaccio, appena celebrata il 21 settembre, è la prima Giornata Polare Internazionale sul Ghiaccio del mare. Più di 30 progetti sono destinati allo studio del ghiaccio del mare o dell’ecologia del ghiaccio del mare.

Oltre a programmi di ricerca, però, l’Anno Polare vuole promuovere anche iniziative didattiche e divulgative per stimolare una maggiore sensibilità nel pubblico sul ruolo fondamentale svolto dalle regioni polari per il mantenimento degli equilibri ambientali del pianeta. Studenti, cittadini e appassionati potranno seguire l’andamento delle campagne di studio in tempo reale grazie a numerose attività che enti scientifici, musei e associazioni culturali proporranno nel corso dei prossimi mesi. L’operazione “Scienza ai poli” proposta dalla Comunità scientifica coinvolge ogni Ministero della Pubblica Istruzione e della Ricerca scientifica nel mondo. La finalità è incoraggiare la realizzazione di progetti nelle scuole in relazione ai temi dell’Anno Polare Internazionale. Sul sito ufficiale dell’IPY, http://www.ipy.org/, si può accedere ad una rubrica specifica per gli insegnanti e i ragazzi, iscriversi, partecipare alle proposte e agli esperimenti suggeriti, identificare la propria scuola o classe con il lancio di un pallone virtuale ed entrare nell’International Polar Network. Il programma in italiano si chiama “Rompiamo il ghiaccio”, una proposta amichevole ed invitante per ognuno di noi.

L’Associazione Paulo Parra per la Ricerca sulla Terminalità –A.R.T., presente da sempre su tutte le strade che portano ad un miglioramento della qualità della vita e della relazione armoniosa, pacifica e rispettosa tra esseri umani e nei confronti di animali e natura, aderisce alle proposte dell’Anno Polare Internazionale. Tramite il suo programma Padì – Parole Discrete, un percorso formativo destinato agli studenti delle scuole elementari, medie inferiori e superiori, da otto anni affronta con i bambini e adolescenti i delicati temi delle emozioni, della sofferenza, della perdita e della solitudine, aiuta i giovani a confrontarsi con il senso di responsabilità verso l’altro, quindi anche verso la comunità e il pianeta. Già con l’inizio dell’anno scolastico, l’A.R.T. attraverso Padì ha invitato una scuola della Provincia di Parma ad essere la prima scuola della Regione Emilia Romagna a lanciare il suo pallone virtuale, iscrivendosi sul sito dell’IPY. Nello stesso modo suggerisce ai docenti, nelle sue proposte formative, una visita presso i Musei Nazionali dell’Antartide a Genova, Siena e Trieste (http://www.mna.it/). L’A.R.T. e Padì intendono proseguire quest’opera di sensibilizzazione con le scuole piacentine dove partirà tra poco il percorso e invita chi fosse interessato a prendere contatto con lei. Il calendario dell’A.R.T. di quest’anno, il Calendario 2008 di Padì – Parole Discrete, oltre a celebrare i dieci anni dalla fondazione dell’A.R.T., una tra le più attive associazioni onlus affiliata alla Federazione Italiana Cure Palliative, ha scelto l’Anno Polare Internazionale come tema di sensibilizzazione per i 365 giorni del 2008.

Per quanto riguarda l'Italia, il responsabile dei programmi scientifici dell’Anno Polare Internazionale è il prof. Carlo Alberto Ricci, di Siena, Presidente della Commissione Scientifica Nazionale per l’Antartide, CSNA. Coordina la Commissione Italiana composta dai seguenti esperti: prof. Roberto Azzolini CNR - Polarnet, Organizzazione italiana Research Council, Roma; prof. Carlo Barbante, Università di Venezia; prof. Nino Cucinotta, Consorzio PNRA - Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, Roma; prof. Guido di Prisco, CNR-IBP, Istituto di Biochimica delle Proteine, Napoli; prof. Massimo Frezzotti, ENEA Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia e l’Ambiente, Roma; prof. Antonio Meloni, INGV Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Roma.

Un’ultima proposta per sensibilizzare l’opinione pubblica e avvicinare gli scienziati alla popolazione è un’iniziativa della Commissione Europea (Researchers in Europe). Per il terzo anno consecutivo, più di 20 paesi proporranno nella stessa data, venerdì 28 settembre, in decine di città nel mondo, la Notte Polare 2007 dei Ricercatori! Trattasi di appuntamenti inediti con scienziati di ogni orizzonte e disciplina. Obiettivo: mettere il ricercatore al centro della società. Per fare eco al quarto Anno Polare Internazionale, molte città europee hanno scelto di illuminare quella notte con i colori sfavillanti delle notti polari. Chi volesse saperne di più può consultare i siti ufficiali dell’Anno Polare Internazionale: http://www.ipy.org/ e il sito ufficiale del CSNA: http://www.annopolare.it/

*Articolo scritto da Amanda Castello - pubblicato sul quotidiano Libertà del 02/08/2007